C’è tanta differenza tra far giocare e allenare.
Oggi ti voglio parlare di un argomento che merita molta attenzione e sul quale regnano spesso un po’ di dubbi e incertezze.
Ma questo non è un problema!
Sarò esaustivo quanto basta per aprirti una voragine di conoscenze e scoprirai i segreti del metodo che utilizzo per ottimizzare la tecnica dei miei allievi.
Sono tutti spunti interessanti perché anche io, come te, mangio pane e tennis, sono uomo da campo e cerco sempre di fare la differenza.
È un po’ lungo questo articolo, ma l’ho fatto apposta perché era l’unico modo per alzare il valore di un argomento così delicato e quindi darti la possibilità di mettere in pratica, sin da domani, questi sistemi di allenamento con i tuoi allievi.
Sei ben incollato al tuo divano? Ottimo, allora partiamo!
Come individuo la necessità di un lavoro tecnico?
Ipotizziamo un atleta agonista che abbia ovviamente una sua fisionomia di gioco, quindi con tecnica consolidata e una ben definita impostazione tattica.
Qui siamo già ad un grande incrocio e mi devo fermare e capire che direzione prendere.
In teoria è già tutto a posto, perché sa giocare a tennis e viene anche difficile poter immaginare di cambiare qualcosa in meglio, sembrerebbe quasi superfluo.
Però, come scoprirai a breve, alcuni aspetti affiorano se prima ragioni a fondo su di essi.
Per prima cosa scelgo di analizzare ogni aspetto e qualora riscontrassi una carenza di tipo tecnico, intervengo dedicando una parte della programmazione alla risoluzione di questo problema.
Come faccio a capire se c’è un errore tecnico?
Molto saggia questa domanda! Prenditi tutto il tempo necessario perché la questione va affrontata nei dettagli.
Una cosa su tutte che non può mancare è la prestazione.
Con questo termine vado a rilevare come si comporta l’atleta in condizioni aperte, ossia nel match, e inizio a fare delle valutazioni che andranno a semplificare il mio processo decisionale.
Commetterà errori gratuiti? Si sottoporrà agli attacchi dell’avversario?
Se la risposta è positiva, quasi sicuramente c’è un errore tecnico al quale dovrò porre rimedio.
Scusa Stefano, non saranno altri i motivi che lo portano a perdere i punti? Magari non è attento perché è stanco, oppure perché ha problemi di tenuta mentale!
Vedi, in realtà nel nostro sport, la tecnica sposta tantissimo gli equilibri verso il successo o l’insuccesso.
A volte la consideriamo scontata, come se fosse già parte di noi e non sia quindi necessario implementarla, ma non funziona proprio così.
Personalmente trovo sbagliato, in certi casi, attribuire ad altre componenti una flessione di rendimento quando sarebbe più opportuno scovare gli errori nei dettagli più tangibili.
Intendiamoci, tutto deve concorrere allo sviluppo di un’atleta, e sono tanti gli aspetti, ma il fattore trainante deve sempre essere colpire la palla in un certo modo e allenarsi in modo da imparare più varianti possibili dello stesso colpo.
Una volta acquisita un’ottima solidità in questo, anche il resto si evolverà a dovere, ci saranno più strumenti a disposizione e più consapevolezze per lo sviluppo del progetto.
Fermiamoci un secondo, importante premessa.
Se perdo il punto perché ho giocato 6 volte di seguito la palla sul diritto del mio avversario e questo con il diritto “scoppia la palla”, non ho avuto un problema tecnico, ho proprio sbagliato strategia!
Questa però è un’altra storia, che verrà affrontata in altra sede.
Piuttosto, vorrei dirti un’ultima cosa per chiudere il cerchio…
Non è detto che il fatto di vincere renda invisibile o trascurabile qualsiasi altra mancanza. Perché spesso si tratta di successi momentanei, dovuti a circostanze, ma assolutamente scollegati con il futuro.
L’allenatore deve intuire quale potrà essere il processo di evoluzione dell’atleta, quindi eventualmente intervenire su quell’aspetto tecnico che oggi da risultati, ma che domani darà problemi.
Esempio: ho un’allieva Under 14 dotata di uno sviluppo muscolare di gran lunga superiore alle coetanee, è potente, esplosiva e per questo sta vincendo tanti tornei. Però, noto che la biomeccanica del suo rovescio è ancora molto “acerba”, non è un colpo fluido e mi rendo subito conto di quanto sia labile questa attuale supremazia.
Stefano, ma allora cosa faresti in questo caso?
Parlarle, trovando i giusti canali e delineando insieme il percorso di crescita da attuare nel lungo termine.
Quando la sua mente avrà maturato una visione completamente nuova, inizieremo a lavorare sugli obiettivi.
È importante che il focus rimanga sempre sul miglioramento e mai sul risultato.
E credimi, chi pensa a migliorarsi ha molte più probabilità di arrivare a vincere in modo costante, occorre solo darsi tempo.
Ok, ora è tempo di tornare a monitorare il nostro giocatore di riferimento, il quale sa leggere istantaneamente le debolezze del suo avversario, ma tuttavia continua a perdere punti e in momenti cruciali.
Quindi, assodato che la mancanza di prestazione derivi da una lacuna, ora devo capire da quale tipo di errori tecnici sia stata causata.
Inizialmente la motivazione può essere latente e dovrò cercarla nell’ambito di alcuni particolari che emergono solo in casi specifici.
Quindi è possibile giocare generalmente bene un colpo e trovarsi a sbagliarlo solo in una precisa situazione di gioco?
Certamente! E ti svelo anche una cosa interessante: nel corso della mia carriera, ogni tanto, mi sono proprio trovato a dover affrontare queste problematiche.
Devo dire che madre natura mi ha dato una certa attitudine nel coordinare i miei movimenti e nell’apprendere con disinvoltura nuovi input, così mi sono approdato nella fase di specializzazione con buone sicurezze tecniche in tutti i colpi e nelle varie zone del campo.
Questo però, ahimè, non è sufficiente, per quanto possa sembrare già eccellente.
Ci sono sempre delle movenze che il nostro corpo non ama svolgere, spesso per caratteristiche coordinative abbinate ad una carenza mentale nell’affrontarle.
Nel mio caso specifico, ti posso dire che ho sempre gestito con più “sofferenza” i cambi di ritmo, e in particolar modo le palle con traiettoria alta, rispetto ad uno scambio più veloce, dove mi sentivo più in confidenza.
Questo perché sugli impatti a piani elevati perdevo un po’ di sicurezze e ho dovuto lavorare sodo per farmi amica questa situazione, fortunatamente riuscendoci alla grande.
Ti faccio un altro esempio che ti arriverà immediatamente perché di sicuro l’avrai provato sulla tua pelle: prendiamo Federer, il suo tennis non è solo perfetto, è da libro del tennis ed elencare i suoi difetti sarebbe quasi reato, dato che i suoi difetti non esistono.
Però, poi succede che va in finale ripetute volte contro Nadal e dopo il primo set, perso malamente, lo score dice implacabilmente: 10 errori gratuiti di rovescio a una mano in top spin nel cercare di ribattere il diritto diagonale carico di Nadal.
Non stiamo parlando di errori dovuti a recuperi estremi, in condizioni precarie, ma di colpi giocati con gli appoggi perfettamente ancorati a terra e con spostamenti nel cortissimo raggio.
Tutto questo cosa significa? Che la tecnica sopraffina di Federer, in quel preciso contesto non era adatta, perché Nadal, tramite le sue traiettorie e complessità di palla insidiose, era riuscito a far affiorare un suo difetto tecnico.
Nessuno c’era mai riuscito, ma lui ha dimostrato che anche King Roger ha una debolezza, sconosciuta a tutti, ma che in quel frangente è risultata talmente evidente da fargli perdere tutti i punti giocati mediante quel preciso colpo.
Questo se ci pensi è incredibile!
Anche i professionisti hanno materie di studio per provare a migliorarsi, figurarsi quanti contenuti possiamo inserire dentro alla costruzione di un giocatore all’inizio del suo percorso agonistico.
Direi molto affascinante e allo stesso modo sfidante! Non credi?
Se ci pensiamo un attimo, questa ricerca della perfezione è ciò che contraddistingue questi campioni, è la loro arma in più.
La tecnica di base che il giocatore impara, non è abbastanza per svolgere tutte le mansioni tennistiche.
La padronanza tecnica che ha sviluppato deve renderla accessibile al gioco vero, che è fatto di scenari complessi e sempre diversi tra loro.
Arriveranno palle basse, alte, altezza fianchi, con rotazioni differenti, e in più si dovrà spostare all’interno del campo, laterale, in avanti o all’indietro, e non saprà nemmeno in quale raggio.
È normale che sia necessario adattare la sua tecnica a queste variabili.
Però qui nasce un bel quesito: questa variabilità della tecnica come la alleno?
Sicuramente la gestione del movimento è una qualità che si sviluppa anche in automatico, poiché il giocatore dovrà per forza di cose districarsi all’interno di contesti differenti, ma spesso è necessario uscire dal gioco a “palla viva” e affrontare quella particolare giocata in situazione chiusa.
A mio avviso, la scelta migliore è quella di attrezzarsi a dovere al fine di avere più disponibilità tattica e più consapevolezza, quindi all’occorrenza andare a selezionare quella specifica lacuna tecnica e dedicargli uno spazio riservato.
Bene! Ora che tutto è chiaro addentriamoci di nuovo nella nostra seduta d’allenamento.
Siamo ad un punto di svolta, metto in opera l’intervento di carattere tecnico, e lo farò con l’obiettivo di migliorare la sua confidenza in relazione a un fattore critico emerso che ha sancito la perdita di numerosi punti.
Ho capito la causa scatenante di una flessione di rendimento, ma non posso considerare il lavoro terminato, anzi, è appena iniziato!
Sta per iniziare la parte più bella.
Quale progressione didattica utilizzo per lavorare sulla tecnica?
Per prima cosa mi dispongo nella stessa metà campo dell’atleta e gli fornisco la palla con la mano, perché da questa prospettiva la visualizzazione della palla sarà più nitida, agevolando la sincronizzazione dello split step, e saranno più fruibili le informazioni che gli fornirò attraverso i miei gesti.
Mi focalizzo esclusivamente su come andare a modificare la meccanica del gesto, talvolta anche tramite l’ausilio di espedienti didattici per agevolarne l’apprendimento.
Consideriamo un difetto nella rotazione del tronco in fase di preparazione su una palla laterale nel medio raggio di diritto.
Il giocatore non riesce a creare una buona distanza dalla palla, la quale rimarrà troppo davanti al corpo e limiterà lo spazio per accelerare. La risultante sarà un movimento avanti della racchetta senza attraversamento della palla, con chiusura anticipata e rischio di steccare.
Da questa prospettiva la visualizzazione della palla sarà più nitida, agevolando la sincronizzazione dello split step, e saranno più fruibili le informazioni che il coach fornirà attraverso i suoi gesti.
È fondamentale cogliere quale sia l’aspetto cardine sul quale lavorare, quel fattore che, se modificato, potrà risolvere altri problemi annessi.
Essendo il tennis uno sport dove le varie sequenze muscolari devono muoversi in armonia attraverso l’utilizzo di una catena cinetica, non è raro individuare aspetti critici che vadano poi ad influire negativamente su altre parti del gesto.
In questa fase suddivido il lavoro in vari step, parto da un target molto specifico, andando alla radice del problema e via via inserisco nuovi fattori.
Step 1.
Sale su uno step facendo un passo avanti, scende a piedi pari a mo’ di split step ed esegue la unit turn.
L’attenzione del giocatore sarà rivolta esclusivamente all’accentuazione della rotazione delle spalle portando la scapola dell’arto non dominante ben visibile e in direzione della palla in arrivo.
Quando il coach lancia la palla avviene l’ultima fase di preparazione con il distacco dell’arto non dominante, la massima ampiezza del braccio racchetta e per finire il movimento di accelerazione colpendo la palla.
Con questo procedimento induco l’atleta a percepire che il colpo può anche essere giocato con le gambe frontali, ma che il punto chiave sia partire con un movimento di rotazione del tronco, elemento primario per generare equilibrio e spazio per accelerare.
Step 2.
Esegue lo split step in modo naturale, esegue la unit turn con i piedi ancora fermi.
Al lancio del maestro inizia la sua ricerca di palla, muovendosi nel medio raggio verso l’angolo destro del campo.
In questa importante fase, sarà opportuno creare il presupposto per avere un ottimo spazio di accelerazione.
Come raggiunge queste condizioni?
In prima battuta si sposterà avendo la mano non dominante ancora al cuore della racchetta, successivamente, appena prima di trovare l’appoggio con il piede destro (per destrimani), stacca la mano dal cuore e porta il braccio non dominante parallelo alla rete.
Durante questa azione di allontanamento si va ad ottenere l’assetto finale del tronco che avrà come risultante la posizione della scapola come sopra indicato.
Questo è un punto di riferimento che serve tantissimo al tennista e lo rende consapevole della correttezza o meno dalla sua preparazione.
Non dimentichiamo, che il timing nel distacco dell’arto non dominante è strettamente correlato alla distanza della palla in arrivo, alla velocità della stessa e al numero di passi occorrenti nel determinare la stance.
Terminare la preparazione troppo in anticipo significherebbe avere uno scarso accumulo di energia, poiché la racchetta dovrebbe fermarsi una frazione di secondo e attendere la palla.
Allo stesso modo, posticipare oltremisura il termine di preparazione comporterebbe un arretramento del punto d’impatto, un’eccessiva contrazione e l’impossibilità di attivare correttamente la catena cinetica.
Ma quindi è davvero così determinante curare i dettagli?
Cioè, modificare di qualche grado l’orientamento della spalla può influire sul rendimento?
Certo! Può addirittura evitare un vero e proprio errore gratuito.
La cosiddetta catena cinetica prevede che tutto debba seguire un andamento sequenziale, il primo muscolo che fa partire un determinato movimento, a sua volta libera altri muscoli, e così ad oltranza fino al termine del gesto.
Ciò detto, si capisce immediatamente che sarebbe davvero grave presentare una lacuna già in una fase delicata come quella della preparazione.
Se quindi, in merito a questo assetto errato, andrò a muovere male il braccio racchetta, ogni altro aspetto successivo porterà le conseguenze del mio errore. In primis il punto d’impatto, che mi farà perdere inevitabilmente equilibrio e controllo del colpo.
La procedura appena svolta, mi ha consentito di settorializzare il lavoro e l’atleta sta metabolizzando un nuovo schema motorio, però l’ha fatto in un contesto avulso dall’azione reale.
Stefano, cosa intendi di preciso?
In una partita non accade mai che un colpo venga ripetuto più volte nello stesso identico modo, né tanto meno che venga giocato in un contesto a blocchi, con il fattore dell’imprevedibilità annullato.
Quindi l’obiettivo è quello di giocare quel colpo in modo che sia efficace in quel preciso istante del match, e magari dopo aver giocato scambi che abbiano visto altre azioni tecnico tattiche.
Per questo motivo propongo una seconda parte di esercitazione, in cui inserisco la giocata in questione, abbinata ad un’azione di gioco guidata che preveda altri colpi e giocati da diverse zone di campo.
Per riprodurre una situazione verosimile al match, faccio eseguire all’allievo un primo rovescio diagonale in fase difensiva, un diritto laterale nel medio raggio in fase di costruzione, e un diritto ad entrare lungolinea per la conclusione del punto.
Il concetto da inculcare e quello di un’azione dove ogni palla giocata apra l’opportunità per la nuova palla in arrivo.
Possiamo prevedere che tipo di palla giocherà l’avversario?
La risposta è no, ma ci sono alte probabilità che in base ad una giocata vi sia una determinata reazione.
Il tennis non è il gioco degli scacchi, ma se abbiamo una strategia, è più agevole portare a casa punti.
In questo caso specifico, se l’atleta, dopo aver lavorato sul suo difetto tecnico, riuscirà ad eseguire quel diritto di costruzione con una buona apertura di campo, nella palla successiva vedrà più spazio davanti a sé per concludere lungolinea, e nel caso l’avversario accorciasse, riuscirà anche a rubargli il tempo in modo da garantirsi ancora più facilmente il vincente.
Dopo aver svolto un buon numero di serie ad alta intensità, passo all’ultima fase, ossia l’azione di gioco random, basandomi sulle 4-5 palle, sempre concludendo con winner, dove sia prevista almeno una giocata attraverso il colpo affrontato come tema principale.
Qui, a differenza del metodo utilizzato fino ad ora, mi sposto al di là della rete e invio la palla colpendo con la racchetta. Attraverso questa procedura, l’atleta inserirà sempre di più nel suo schema motorio questo movimento, fino a quando gli sembrerà normale eseguirlo.
Non presterà più attenzione al gesto poiché è stato automatizzato.
La cosa essenziale di un’azione tattica, e quindi di ogni azione aperta, e quella di possedere degli automatismi altamente produttivi in modo da distogliere completamente il pensiero dal come fare i movimenti.
Solo così il giocatore potrà operare delle scelte in totale lucidità e non più condizionate dalle sue lacune.
Bene! Ora abbiamo visto davvero tutto e possiamo rientrare in campo per produrre qualcosa di straordinario.
Sono certo che questa lettura ti abbia dato preziose nozioni da applicare oggi stesso all’interno dei tuoi programmi di allenamento, ora tocca a te!
Un saluto
Stefano
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